
Il ciavarro di Ripatransone
Il ciavarro è il piatto tipico di Ripatransone, piccolo comune marchigiano in provincia di Ascoli Piceno. Questa splendida cittadina, che si presenta secondo le classiche caratteristiche dei borghi medievali, è soprannominata il “Belvedere del Piceno”, per gli impagabili panorami che offre ad abitanti e visitatori. Arroccata sulla cima di un colle, non molto distante dal mare, la sua vista spazia dai Sibillini al Gran Sasso, dal Conero al litorale adriatico: un vero e proprio cannocchiale sul territorio.
Tra i suoi scorci Ripatransone ha sviluppato nel corso del tempo una ricca cultura enogastronomica, famosa per la produzione di olio e di vini di altissima qualità, e per “lu ciavarre”, antica minestra di cereali e legumi che più di ogni altra pietanza rispecchia l’antico spirito contadino di questo borgo.

Il ciavarro è la ricetta della condivisione e della comunità, contraddistinto da una lunga preparazione che in passato – e per qualcuno ancora oggi – coinvolgeva tutti i componenti di una famiglia.
Non lasciatevi perciò ingannare dai suoi ingredienti poveri – ma sani e nutrienti! – perché dietro a questo piatto si nasconde molto di più.
Tradizioni storiche
Abbiamo visto come il ciavarro sia per eccellenza un prodotto del mondo contadino, figlio del territorio e delle sue coltivazioni. Questo piatto simboleggia anche lo scorrere del tempo e delle stagioni, che per gli agricoltori, più che per tanti altri, scandiscono la vita e il lavoro.
La consumazione del ciavarro era infatti un tempo tipica del primo giorno di maggio, in piena primavera, quando i nuovi raccolti cominciavano a rendere e quelli vecchi andavano definitivamente consumati. Ecco allora che le madie dei contadini, cariche delle ultime scorte dei resistenti legumi facili da conservare, venivano svuotate per far posto ai prodotti freschi provenienti dai campi.

Preparare questa ricetta era quindi una sorta di rito per gli abitanti di Ripatransone, che salutavano l’annata trascorsa e celebravano quella che stava per iniziare, anno dopo anno, decennio dopo decennio. E si trattava di un rito comunitario, cui prendeva parte ogni membro della famiglia, compresi i bambini, spesso ammaliati da racconti e storielle su questi strani legumi che avrebbero poi mangiato in un giorno di festa.
Perché la preparazione del ciavarro, nonostante la sua apparente semplicità, richiede una buona dose di pazienza. Ogni legume ha infatti i suoi tempi di ammollo e di cottura, e la ricetta originale prevede dodici cotture diverse in dodici differenti pentole, seguendo un processo lungo e attento con le sue regole e le sue tradizioni.
La ricetta delle dodici pentole
La preparazione tradizionale del ciavarro è conosciuta appunto con il nome di “ricetta delle dodici pentole”. Dodici differenti prodotti, tra legumi e cereali, devono essere cucinati separatamente per poi essere uniti nell’ultimo momento della cottura. Stiamo parlando di: fagioli rossi, fagioli borlotti, fagioli cannellini, fagioli bianchi di Spagna, ceci, piselli secchi, fave, favine, lenticchie, cicerchia, granoturco e grano.
Non si tratta però di un elenco stringente e chiuso; per il ciavarro può essere utilizzata ogni qualità di legumi o di cereali che si ha a disposizione, creando anche piacevoli variazioni di gusto e consistenze in grado di rendere questo piatto sempre diverso.
Per seguire la ricetta originale l’importante è rispettare per i vari prodotti i tempi di ammollo e di cottura, che presentano spesso rilevanti differenze.
Quando tutto è sui fornelli si può passare alla preparazione di un soffritto di sedano, carota, cipolla e peperoncino, cui andrà aggiunta poi della passata di pomodoro, lasciando il tutto sul fuoco per qualche minuto. Ultimato questo passaggio si possono iniziare ad aggiungere in quest’unica pentola i legumi e i cereali, che termineranno qui la loro cottura amalgamandosi insieme per circa un’ora.
Una volta pronto il ciavarro può essere servito con del pane tostato o con della cacciannanze, una focaccia marchigiana condita con olio e rosmarino.
