
Il Palazzo del Duca a Senigallia
Oggi andremo ad esplorare uno dei principali simboli della Senigallia rinascimentale, figlia del legame tra il Ducato di Urbino e la famiglia Della Rovere. Legame che inizia nel 1474, quando Giovanni Della Rovere, nipote di papa Sisto IV, fu nominato dallo zio signore della città.
Il Palazzo del Duca, insieme all’imponente Rocca Roveresca e al più raffinato Palazzetto Baviera (di cui abbiamo parlato qui), oltre ad essere una residenza temporanea per la corte e per i suoi ospiti, doveva rappresentare un punto di controllo delle operazioni militari cittadine, che si svolgevano perlopiù nell’omonima piazza del Duca – così chiamata in onore di Giovanni -, sulla quale si affacciano tutti e tre gli edifici.
La struttura, eretta per volontà di Guidobaldo II Della Rovere nella prima metà del Cinquecento, si presenta oggi in modo semplice e austero. Il suo aspetto, che in epoca rinascimentale doveva apparire più sfarzoso – sia per l’esterno che per gli interni – ha subito svariate modificazioni nel corso del tempo, passando attraverso alcuni periodi di incuria successivi alla progressiva perdita di importanza dei Della Rovere.
Uno dei punti più appariscenti e ottimamente conservati dell’edificio è senza dubbio la cosiddetta “Sala del Trono”, rinomata soprattutto per lo splendido soffitto a cassettoni decorato dalle pitture attribuite a Taddeo Zuccari.
La storia
Per parlare della storia del Palazzo del Duca bisogna prima di tutto introdurre la figura del duca in questione: Guidobaldo II Della Rovere. Nipote del già citato Giovanni, egli divenne duca di Urbino nel 1538, all’età di ventiquattro anni. La sua corte aveva residenza a Pesaro, quindici anni prima nominata capitale del Ducato, ma proprio per Senigallia decise di affidare all’architetto Girolamo Genga – figura centrale nell’architettura marchigiana del Rinascimento – il progetto di un grande palazzo nel fulcro della zona cittadina fortificata.
L’edificio, come precedente anticipato, era per il duca, per il suo seguito e per gli ospiti più illustri un fondamentale punto di appoggio e di rappresentanza. La posizione strategica su piazza del Duca – all’epoca più ampia e priva della sua caratteristica fontana – permetteva inoltre un’osservazione privilegiata sull’organizzazione militare della roccaforte senigalliese.

La struttura fu successivamente allargata per volere del figlio di Guidobaldo, Francesco Maria II, che, oltre a modificare la simmetria della facciata, decise di aumentare in modo considerevole il numero delle stanze, passando dalle 34 iniziali a 64.
Alla morte di quest’ultimo nel 1631, il Palazzo del Duca cominciò lentamente ad appassire. Il Ducato di Urbino venne annesso allo Stato della Chiesa e Vittoria, ultima discendete diretta dei Della Rovere, si trovò costretta a lasciare l’edificio in concessione ad altri nobili famiglie del territorio.
Da questo momento in poi il Palazzo perse di importanza, conoscendo lunghi periodi di trascuratezza culminati con il tragico terremoto del 1930 che lo danneggiò irreparabilmente.
Il soffitto
Una piccola perla all’interno dell’edificio è il soffitto della “Sala del Trono” menzionato in precedenza. Composto da 49 cassettoni, di cui 42 ancora conservati in ottimo stato, è attribuito al pittore Taddeo Zuccari (o Zucchero o Zuccheri).
Ogni cassettone è minuziosamente decorato con la rappresentazione di scene differenti, che nel loro complesso richiamano un’atmosfera festosa, allegra e carnevalesca. Molte sono però attraversate da una sferzante ironia, con evidenti rimandi alla vita sociale e politica del tempo, affrontata anche in chiave critica.
I soggetti, spesso carichi di un valore allegorico di non facile interpretazione, appaiono come abitanti di un “mondo alla rovescia”, dove l’ordine costituito viene spesso e volentieri ribaltato. Ecco allora che è possibile incontrare artisti con orecchie da asino e avvocati con orecchie da bue, donne animalesche, bambini al di sopra degli adulti e poveri che comandano sui ricchi. Il tutto contornato da una serie di oggetti ed animali simbolici dal significato a volte nascosto.
Insomma, un piccolo universo tutto da scoprire.
