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Dante Alighieri le Marche nella Divina Commedia

Il territorio marchigiano è sempre stato crocevia di popoli e da sempre attraversato da grandi personaggi della storia, carismatici condottieri, pellegrini e poeti che hanno conosciuto, vissuto e parlato della nostra terra e delle sue tante bellezze. Uno dei più importanti e illustri viaggiatori fu Dante Alighieri le Marche del nord vengono infatti nominate diverse volte nelle sue opere e questo fa facilmente intuire la frequentazione di queste zone del Sommo Poeta. Luoghi romantici, tragici, luoghi dal sapore mistico o dalla natura prorompente, in ogni dove si è posato l’occhio e il cuore di Dante c’è una frase o un passo che lo ricorda e lo ha reso immortale.

Nella Divina Commedia Dante ha descritto luoghi e personaggi facendoli diventare dei simboli e rendendoli icone universali: ad esempio uno dei passi più memorabili dell’Inferno racconta di una storia d’amore che si sarebbe consumata nelle Marche, in particolare nel Castello di Gradara. Nel V Canto il Poeta racconta della passione travolgente e peccaminosa di Paolo e Francesca, immersi in uno scenario accogliente e protettivo, quasi complice dei due sciagurati amanti, uccisi per mano del marito tradito, Giangiotto Malatesta.

Nella stessa zona di Gradara e di Casteldimezzo, nel cuore del Parco Naturale Regionale del Monte San Bartolo, si trova il delizioso borgo a picco sul mare di Fiorenzuola di Focara citato da Dante nel XXVIII Canto dell’Inferno: “Poi farà si ch’al vento di Focara – non farà lor mestier voto né preco” riferendosi a un tratto di costa così pericoloso, che occorrevano evidentemente voti e preghiere per salvarsi dalle tempeste.

Nel Paradiso Dante incontra San Pier Damiani strettamente legato all’Eremo di Fonte Avellana che, dedicato alla Santa Croce, si trova nel comune di Serra Sant’Abbondio, in provincia di Pesaro Urbino. Citato nel XXI Canto sembra addirittura che Dante abbia soggiornato nell’antico monastero, legato alla congregazione dei Camaldolesi, le cui origini risalgono alla fine del primo millennio. Dante, rendendo celebre il monastero fondato sulle pendici del Monte Catria, ha dato lustro alla storia di questo luogo di preghiera dove sono vissuti ben 76 fra santi e beati e dal quale provengono 54 vescovi. Ai piedi del Catria, oltre a Fonte Avellana c’erano diverse abbazie, tre cui quella di Santa Maria Assunta di Frontone e quella di Sant’Emiliano in Congiuntoli, eremi dove vissero in totale silenzio e preghiera diversi monaci tutti devoti alla regola benedettina.

La Santa Montagna inoltre, in tutta la sua bellezza viene citata nel suo complesso da Dante sempre nel XXI Canto del Paradiso, come luogo altrettanto silenzioso, mistico e immerso nel verde della natura: montagna a confine tra Umbria e Marche che interessa i comuni marchigiani di Cagli, Cantiano, Frontone e Serra Sant’Abbondio. Un monte ritenuto sacro fin dall’antichità che evidentemente fu frequentato da Dante a cui risulta molto caro e familiare.

Nel caso del Fanese Jacopo del Cassero, accolto nel Purgatorio, Dante, turbato e commosso dal tragico destino dell’uomo – magistrato e condottiero guelfo morto assassinato nel 1298 -, tenta di rispondere al desiderio di pace di quest’anima in pena attraverso una visione lirica della sua terra, Fano “quel paese che siede tra Romagna e quel di Carlo” dando alla zona una connotazione territoriale molto precisa, tra la Romagna e il Regno di Carlo II d’Angiò.

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